recettoreQuand’ero bambina avevo sempre le ginocchia sbucciate e dopo ogni caduta mia nonna mi disinfettava con qualche goccia d’alcool. Per farmi sopportare questa breve ma intensa tortura, mi raccontava di germi terribili che andavano uccisi senza pietà…

 

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recettoreQuand’ero bambina avevo sempre le ginocchia sbucciate e dopo ogni caduta mia nonna mi disinfettava con qualche goccia d’alcool. Pe farmi sopportare questa breve ma intensa tortura, mi raccontava di germi terribili che andavano uccisi senza pietà. Mi è venuto in mente questo flsh del passato perhè oggi mi sono fatta un piccolo taglio con il coperchio della lattina di pomodoro e non avendo “l’alcool che non brucia”, ho evocato lo spirito di Rambo e ho versato una molecola sulla ferita. Perché brucia così tanto? La spiegazione, ho appena scoperto, è molto curiosa.

Innanzitutto sulla pelle ferita, le molecole di etanolo si incastrano, come chiavi nelle serrature, nei recettori VR1. I recettori sono delle molecole piazzate sulle superfici delle cellule e, come antenne sui tetti, ricevono i segnali chimici dall’ambiente esterno. I recettori VR1 sono quelli che mandano al cervello il segnale “Scotta! Troppo caldo!” e si attivano soltanto a partire da una certa temperatura, pari a 42°C circa.

Ebbene l’etanolo quando si incastra nel VR1, fa abbassare questa soglia a circa 34 gradi e anche meno. Cioè fa diventare la pelle danneggiata più sensibile al calore. Per questo motivo se tocchiamo la ferita disinfettata con un dito o ci soffiamo sopra, brucia: il dito e l’alito si trovano alla temperatura corporea di circa 36 gradi, due gradi oltre la soglia. Idem per il cotone imbevuto: più lo teniamo tra le dita, più calore assorbe e più…brucerà. L’etanolo con lo stesso meccanismo aumenta la sensibilità alla capsaicina, la molecola responsabile del bruciore dei peperoncini.