armadioChe rapporto avete con i vestiti smessi? Ieri ho fatto una strage.

Verso sera si è alzato un venticello d’ansia che mi avrebbe scompigliato pensieri ordinatamente riposti in un angolo dell’anima. Per difendermi da questa brezza potevo fare una cosa sola: fare ordine negli armadi e buttare.

(continua)

 

armadio

Che rapporto avete con i vestiti smessi? Ieri ho fatto una strage.

Verso sera si è alzato un venticello d’ansia che mi avrebbe scompigliato pensieri ordinatamente riposti in un angolo dell’anima. Per difendermi da questa brezza potevo fare una cosa sola: fare ordine negli armadi e buttare.

Gli americani lo chiamano decluttering  e gli attribuiscono una grande importanza. Hanno ragione. Credo che il gettare nella spazzatura sia davvero una sorta di terapia perché avviene una magia: i pensieri senza materia e senza peso vengono trascinati via dalla materia e dal peso dei vecchi oggetti. Con me funziona soprattutto con i vestiti, a cui attribuisco una grande importanza. L’abito è il messaggio con cui ci presentiamo al mondo: frivolo, serio, sportivo, trascurato… i vestiti parlano di noi. Liberarmi di loro è anche liberarmi di una parte di me.

Ho iniziato con lo scatolone etichettato “Vestiti-che-mi-ricordano-cose-belle”. Era in alto, sull’armadio dello sgabuzzino, una scatola bianca con grandi rose rosse: mi sono arrampicata sulla scala, io che detesto salire oltre il secondo gradino, ho dovuto raggiungere la cima. Lo strato di polvere mi ha subito fatto capire che era tanto tempo che non il contenuto non vedeva la luce. Quando l’ho aperto, ho trovato abiti che avevo completamente dimenticato.

Un maglioncino grigio acquistato a Bruxelles quando feci, nel 2001, i test medici per fare il viaggio in microgravità. E’ piccolo, si sarà ristretto nel tempo, sì dev’essere così perché non posso essere ingrassata così tanto. Carino, però. No, non lo butto. Oddio, e questa? Una gonna verde-militare sul retro e davanti un insieme patchwork di diverse stampe. Ora me la ricordo. L’avevo comprata in un outlet. Meglio non sofferrmarmi con chi. Ma pensa, ci sono i jeans neri che usavo negli anni Ottanta, della Swish. Incredibile: sono microscopici. Allora, qui non mi tornano le cose. Il tempo è un sarto dispettoso. Come facevo ad avere il bacino così piccolo?

Ecco la serie di t-shirt: dipinte dall’amica che aveva il pallino di dipingere le maglie, altre gonne, altri jeans. Ognuno di essi ha una storia e io me le ricorde tutte. Lo scatolone dice che erano cose belle. Verissimo. Ma la bellezza del passato scompare se non posso farla vivere qui nel presente. E così se una volta mi ricordavano cose belle, ora voglio solo buttarle. Ho fatto due sacchi enormi. Perché la donna che li ha indossati non c’è più e quella di oggi non potrebbe più entrarci, neanche fisicamente. La brezza si è spenta, sono andata a letto alleggerita. E la prossima volta tocca a un’altra scatola.