hartung Ho contattato il professor  Thomas Hartung, che sta dedicando la sua vita alla ricerca di metodi alternativi alla sperimentazione animale allo scopo di migliorare la salute pubblica.

L’esperto è un farmacologo biochimico, microbiologo molecolare e immunologo. Ex direttore del Centro Europeo per la Validazione dei Metodi Alternativi della Commissione Europea (Ecvam, dal 2002 al 2008), è stato coinvolto per la realizzazione del regolamento REACH* e il divieto dei test animali in ambito cosmetico. Ha lavorato a lungo nel campo della farmacologia e della tossicologia, un’attività documentata da più di 350 pubblicazioni.

Oggi dirige il CAAT, il Center for Alternatives to Animal Testing presso la John Hopkins Bloomberg School of Public Health. Si tratta di un laboratorio per la ricerca relativa alla neurotossicità, basata sulla genomica e sulla metabolomica**.

Insomma, come si dice qui dalle mie parti, “non è proprio un pirla”.(continua)

hartung Ho contattato il professor  Thomas Hartung, che sta dedicando la sua vita alla ricerca di metodi alternativi alla sperimentazione animale allo scopo di migliorare la salute pubblica.

L’esperto è un farmacologo biochimico, microbiologo molecolare e immunologo. Ex direttore del Centro Europeo per la Validazione dei Metodi Alternativi della Commissione Europea (Ecvam, dal 2002 al 2008), è stato coinvolto per la realizzazione del regolamento REACH* e il divieto dei test animali in ambito cosmetico. Ha lavorato a lungo nel campo della farmacologia e della tossicologia, un’attività documentata da più di 350 pubblicazioni.

Oggi dirige il CAAT, il Center for Alternatives to Animal Testing presso la John Hopkins Bloomberg School of Public Health. Si tratta di un laboratorio per la ricerca relativa alla neurotossicità, basata sulla genomica e sulla metabolomica**.

Insomma, come si dice qui dalle mie parti, “non è proprio un pirla.

Abbiamo scambiato qualche riga e vi assicuro che non è un animalista, in qualunque accezione vogliate definire quel termine: Hartung sostiene la necessità del cambiamento delle regole della tossicologia soprattutto per la sicurezza di noi umani.

Quando discuto con persone favorevoli alla SA e chiedo se è eticamente corretto usare esseri senzienti, il mio interlocutore prontamente mi schiaffeggia virtualmente dicendo che un conto sono gli argomenti scientifici (tipo la SA serve sì/no?, la SA porta risultati sì/no?, ecc) un conto quelli etici.  Ovviamente non sono d’accordo. E così ho chiesto al professor Hartung la sua opinione:

Professore, la sperimentazione animale è anche un problema etico?

«Ovviamente sì. Dobbiamo avere un motivo molto forte per fare del male a un essere senziente. E dobbiamo prima di tutto provare tutte le alternative possibili». Questa risposta è chiara come la luce del Sole.

Il professor Hartung mi ha inviato i pdf di due documenti. Uno riguarda i dati europei sull’uso degli animali nei laboratori (Seventh Report on the Statistics on the Number of Animals used for Exprimental and other Scientific purpose in the Member States of the European Union). L’altro è intitolato “Evolution of Toxicological Science: The Need for Change” e l’ha presentato al seminario Risk in 21st Century che si è tenuto a Ottawa nel 2013.

Nel documento il professor Hartung affronta 10 punti essenziali in cui spiega come mai è necessario cambiare al più presto le regole della tossicologia, la branca della farmacologia che studia se e a quale dose  una sostanza (sintetica o naturale) è velenosa per un organismo. Quando si studia un nuovo farmaco, è obbligatorio testarlo sugli animali. E Hartung affronta, fra gli altri, anche questo punto. Ecco un breve riassunto per punti del documento:

Evoluzione della tossicologia: la necessità del cambiamento

Il titolo di questo articolo è una contraddizione: l’evoluzione implica un continuo cambiamento. E se oggi c’è bisogno di questo cambiamento, è perché il processo evolutivo non è stato sufficientemente rapido. Nelle parole del padre dell’evoluzionismo, Charles Darwin: “Non è il più forte di una specie che sopravvive, neanche il più intelligente, ma è quello che più si adatta”. Ecco, la tossicologia non è sempre stata pronta al cambiamento.

La limitata predittività del modello animale non è solo un problema della tossicologia.

I farmaci sono provati a lungo sugli animali per testarne l’efficacia e la tossicità. Ma non è che stiamo scegliendo le sostanze sbagliate? Queste sono scelte attraverso i risultati dei test sulla mutagenità in cui per esempio perfino il sale da cucina e lo zucchero verrebbero bocciati (Pottenger et al. 2007). L’Aspirina oggi non passerebbe la fase preclinica (Hartung 2009c). Il valore predittivo dei test animali in generale e per la tossicologia possono può essere valutato a partire dal processo di sviluppo: per arrivare sul mercato (dalla scoperta della molecola all’approvazione da pare dell’FDA) ci vogliono dai 10 ai 15 anni e un costo che supera 1 miliardo di dollari (Mundae and Ostoer 2010, Tamini and Ellis 2010, Gilbert et al. 2003). In alcune stime, quando è considerato anche il costo di un farmaco poi rivelatosi fallimentare, il costo dello sviluppo di un singolo farmaco era dell’ordine di 1,1 miliardo di dollari nel 1995, 1,7 miliardi di dollari nel 2002. La crescita ha continuato con una media, nel 2012, di 4 miliardi e oltre fino a 11 miliardi di dollari (Forbes) per raggiungere con successo il mercato.

Un’analisi recente di oltre sessant’anni ha dimostrato il continuo declino delle sostanze che riescono a raggiungere il mercato per ogni miliardo speso (Scannel et al. 2012), anche quando la cifra tiene conto dell’inflazione.

E’ chiaro che il problema risiede nel segmento clinico, cioè nel momento in cui le sostanze sono selezionate (nella maggior parte) in base al modello animale. Infatti il fallimento dello sviluppo nella fase clinica ora raggiunge il 95% (Arrowsmith 2012).

Le cause principali di questo fallimento includono problemi di sicurezza (circa il 20%) e mancanza di efficacia (circa il 40%), entrambi previste attraverso una serie di modelli animali prima di far parte della fase più costosa dello sviluppo del farmaco. L’incapacità di predire questi fallimenti prima dei test sugli umani fa lievitare tantissimo i costi.

Questo illustra la limitata predittività del nostro strumento dominante: il modello animale.

Il problema è diventato particolarmente evidente nelle contromisure mediche nei casi degli attacchi di terrorismo chimico e guerra biologica. Il problema dello sviluppo e stoccaggio di farmaci contro gli attacchi di questo tipo è che, per fortuna, non ci sono pazienti su cui testarli. La domanda al panel allora è: qual è, in linea con le regole per gli animali della FDA, il modello animale più adatto? La nostra risposta è in breve: non ci sono modelli animali sufficientemente predittivi per sostituire i trial clinici (NRC 2011).

Un’importante discussione riguarda anche il fallimento (v. prima) delle percentuali di farmaci durante i trial clinici. In linea con questo, un documento recente di Seok et. Al (2013) ha dimostrato la mancanza di corrispondenza fra le risposte del ratto e dell’umano nei confronti della sepsi (setticemia, è una complicazione potenzialmente fatale di un’infezione, ndr), probabilmente la condizione clinica più vicina a una guerra biologica.

I dati citati da Arrowsmith suggeriscono che gli effetti collaterali tossici contribuiscono nella misura del 20% al fallimento del potenziale farmaco nella fase II (su un gruppo numeroso di umani per valutare efficacia e sicurezza, ndr) e nella fase III (il trattamento è dato a un maggior numero di persone per confermare la sua efficacia, monitorare gli effetti collaterali e raccogliere informazioni che possano migliorare l’utilizzo in sicurezza, ndr). Aggiungiamo che la percentuale per gli effetti collaterali emersi nella fase I (su pochi umani per valutare la sicurezza, il range della dose e identificare gli effetti collaterali, ndr) e le reazioni avverse che emergono quando il farmaco arriva sul mercato. Sembra realistico considerare una stima del 30-40%.

Il documento di Olson et al. (2000) ci dà un’idea di questo e del valore retrospettivo del modello animale per l’identificazione di questi problemi: l’accuratezza di topi e ratti per ogni endpoint (è il risultato che si vuole valutare, per esempio il sollievo dal dolore, la remissione di un tumore, ecc ndr) riferito da ratto a ratto e da topo a topo è solo del 60%, che scende al 43% per la tossicità. In tossicologia abbiamo visto che diverse specie da laboratorio esposte a identiche dosi alte, predicono non meglio del 60% (Basketter et al. 2012) e non c’è ragione per ritenere che qualcuna di loro possa predire meglio a dosi più basse. Ci manca un’analisi sistematica che confronti i risultati in differenti ceppi o specie di animali da laboratorio. È improbabile che i risultati siano migliori.

La rilevanza scientifica pretende la riproducibilità. Due recenti pubblicazioni firmate da autori appartenenti a due case farmaceutiche sono state un’epifania: Both Amgen (Begley and Ellis 2012) e  Bayer HealthCare (Prinz et al. 2011) hanno dimostrato che non possono riprodurre le scoperte – chiave di molti loro studi che hanno promosso lo sviluppo del farmaco. Come è possibile? I ricercatori di base sembrano essere più naïve dei ricercatori clinici nell’interpretazione dei loro risultati.

Traduco anche un pezzetto di intervista che il professor Hartung ha rilasciato all’Università di Melbourne,  Fur and against: Scrutinizing the efficacy of animal testing and its alternatives, in cui l’esperto spiega perché i test sugli animali sono spesso inutili e di efficacia discutibile.

Domanda: I test sugli animali sono basati sull’ipotesi che osservando cosa provoca una sostanza nell’organismo animale, possiamo scoprire cosa può succedere a noi se fossimo esposti alla stessa sostanza. Ma quanto accuratamente ci rappresentano gli animali? 

Risposta di Hartung:Nessuno lo sa, è una domanda da 10.000 dollari, o 10 milioni o 10 miliardi perché se lo sapessimo, sapremmo se gli investimenti miliardari fatti ogni anno sui test di sicurezza sono ben investiti. Se guardiamo ai test su topi o ratti, che sono molto simili, per vedere quanto gli animali predicono l’uno sull’altro per questioni relative alla tossicologia, abbiamo solo un 60%.

Cioè significa che se qualcosa è pericoloso per un topo, c’è un 60% di probabilità che lo sia per un ratto?
Hartung: Esatto, per esempio per valutare la capacità di una sostanza per provocare il cancro. La correlazione che abbiamo attraverso i dati migliori è solo del 57% . Numeri simili li abbiamo per la tossicità che produce malformazioni agli embrioni, 61%. Questo ci dice che la predizione degli effetti sugli umani è probabilmente molto più bassa usando questi animali.

Dovremmo fare dei test su animali più simili a noi?

Hartung: Potrebbe essere un approccio. Ed è qualcosa che già si fa. Usiamo primati non-umani ma questo è molto costoso e i primati creature molto amate. Abbiamo molta resistenza da parte dell’opinione pubblica nell’usare questi animali e in più non necessariamente abbiamo dati migliori. Abbiamo avuto uno scandalo due anni fa, magari qualcuno si ricorda dell’anticorpo TeGenero: era stato testato su ratti e scimmie a dosi 500 volte più alte di quelle destinate agli umani. E i primi 6 volontari che ricevettero questo farmaco finirono in unità intensiva 6 ore dopo l’assunzione. Eppure gli animali non avevano avuto problemi con quella sostanza.

Suppongo che sia valido anche il problema opposto: probabilmente escludiamo farmaci utili per gli esseri umani perché non mostrano efficacia sugli animali.

Hartung: Questo è un problema spesso sottovalutato. Facciamo un esempio, pensiamo all’Aspirina, il più vecchio farmaco sintetico messo sul mercato: fallirebbe i test oggi e probabilmente non verrebbe mai immesso nel mercato. Perché per esempio causa malformazioni al feto in topi, ratti, conigli, gatti e scimmie. Ma non negli umani. E siamo davvero sicuri di questo grazie a una meta-analisi di 89.000 gravidanze, che non ci sono malformazioni indotte dall’Aspirina.

*Regolamento REACH: Il regolamento (CE) n.1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio approvato il 18 dicembre 2006, denominato regolamento "REACH" (dall'acronimo "Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals"), prevede la registrazione di tutte le sostanze prodotte o importate nella Comunità in quantità maggiori di una tonnellata per anno.

**Metabolomica: è lo studio dei processi chimici coinvolti nei metaboliti. In soldoni: i metaboliti sono le molecole più piccole, le “briciole” o le tracce o le impronte che lasciano le sostanze chimiche dopo essere state smontate da un organismo. Analizzare queste tracce permette di avere un’istantanea del funzionamento di una cellula. Si sta rivelando uno strumento utilissimo nel campo della tossicologia.

Fonti:

http://upclose.unimelb.edu.au/episode/289-fur-and-against-scrutinizing-efficacy-animal-testing-and-its-alternatives

Evolution of Toxicological Science: The Need for Change –di Thomas Hartung