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Mi chiamo Valentina. Mi ero iscritta a Psicologia ma durante il corso di studi, mi sono resa conto che mi interessava sempre di più l'aspetto più biologico della mente umana (sono una persona molto pragmatica) e allora ho seguito l'indirizzo Sperimentale, interessandomi molto alla Neuropsicologia e alla Psicofarmacologia.

Dopo la laurea, volendo fare ricerca, mi sono iscritta al Dottorato di Psicofarmacologia: l’ho svolto al CNR, occupandomi di modelli animali sul dolore.(continua)

cavia

Mi chiamo Valentina. Mi ero iscritta a Psicologia ma durante il corso di studi, mi sono resa conto che mi interessava sempre di più l'aspetto più biologico della mente umana (sono una persona molto pragmatica) e allora ho seguito l'indirizzo Sperimentale, interessandomi molto alla Neuropsicologia e alla Psicofarmacologia.

Dopo la laurea, volendo fare ricerca, mi sono iscritta al Dottorato di Psicofarmacologia: l’ho svolto al CNR, occupandomi di modelli animali sul dolore.

Dopo il dottorato ho avuto l'opportunità di trasferirmi a Milano per lavorare prima in una big-pharma, poi in una biotech,  continuando ad occuparmi sempre della stessa tematica per diversi anni, per poi passare a studiare anche farmaci oftalmici negli ultimi due-tre anni.

Tre anni fa ho deciso di abbandonare il mondo della ricerca. Non c'è stato un unico motivo. Da un lato l'azienda per cui lavoravo ha iniziato a tagliare sempre di più i fondi per la ricerca relegandoci sempre di più ad un lavoro di ufficio, dall'altro la mia passione crescente (e presente da sempre) per le pubbliche relazioni e gli eventi. Avendo ricevuto una discreta buonuscita, ne ho approfittato per buttarmi in un altro settore e cambiare vita. Non ho mai rimpianto né la scelta di fare ricerca (che reputo ancor oggi uno dei lavori più stimolanti che esistano) né quella di abbandonarla.

Valentina, come ti sei sentita la prima volta che hai preso in mano un animale da laboratorio?

Ho preso in mano un topo appena ho iniziato il dottorato di ricerca. E' stato un vero e proprio shock! Il primo pensiero è stato quello di mollare tutto, di abbandonare il dottorato. Pensavo di non riuscire a farlo. Poi, parlando con altri ricercatori e con il mio supervisore ho deciso di andare avanti, credendo (ed in parte è stato così) che mi sarei abituata.

L'idea di svolgere un lavoro utile alla società mi ha spesso aiutato a superare il senso di pena che ho sempre provato nei confronti degli animali che usavo durante gli esperimenti. Siiamo tutti abbastanza convinti e consapevoli che è un male necessario per arrivare a delle cure importanti (sia per l'uomo che per l'animale stesso, non dimentichiamoci che esiste anche la ricerca in ambito veterinario!). Per esempio spesso, quando ho lavorato nelle aziende, avevamo contatti con i medici specializzati in terapia del dolore e parlavamo con i pazienti: questi incontri (devastanti in alcuni casi) mi davano la forza di continuare a fare quello che facevo, mi sembrava di raccogliere la richiesta di aiuto di chi soffre di dolore per anni e non può avere una vita "normale".

Eri stata preparata per fare esperienza in laboratorio?

Sì, ho fatto diversi corsi, sia al CNR che dopo, nelle diverse aziende. I corsi riguardavano la manipolazione degli animali (come si deve prendere un topo, un ratto, ecc), le norme da tenere in stabulario, e le norme che regolano la sicurezza (sia dei ricercatori che degli animali). Posso confermare che, in tutti gli stabulari in cui ho lavorato, gli animali sono tenuti benissimo.

Mi puoi descrivere esattamente cosa facevi in laboratorio?

Io mi sono specializzata nello studio del dolore, soprattutto del dolore cronico. Per fare questo mi occupavo sia della messa a punto dei modelli (che andavano dai modelli di dolore acuto, a quelli di dolore viscerale, infiammatorio, e neuropatico) che dei test farmacologici sui modelli stessi. Oltre a fare iniezioni (e altre vie di somministrazioni dei farmaci), facevo anche interventi chirurgici (es. legature del nervo sciatico, ecc) per lo studio del dolore neuropatico in particolare. Negli ultimi 2/3 anni poi mi sono anche occupata di testare farmaci oftalmici e usavamo i conigli (l'occhio di un coniglio è molto simile a quello umano per dimensioni e caratteristiche). Anche in quel caso facevo sia chirurgia che trattamenti.

Per studiare il dolore cronico quindi bisogna prima provocare dolore agli animali e poi provare a curarli con i farmaci?

Sì. Bisogna creare delle condizioni in cui si possono testare i farmaci sui due sintomi principali del dolore cronico: l'iperalgesia (si prova più dolore del normale ad una stimolazione dolorosa) e l'allodinia (si prova dolore ad una stimolazione di per se non dolorosa). La legatura del nervo sciatico è una di queste tecniche. Non ti immaginare però un topo devastato dal dolore. Semplicemente sviluppa maggiore sensibilità nella zampa e diminuisce la sua soglia del dolore. Se il farmaco funziona la sua soglia aumenta.

C'è stato un momento più difficile di altri dal punto di vista emotivo?

Bè, sicuramente lavorare con i conigli. Ho avuto enormi difficoltà. Più l'animale è grande, più era difficile per me.  Tutto il periodo in cui ho lavorato sui conigli ero stressatissima. Anche in quel caso quasi sempre ne riconoscevo l'utilità, ma facevo veramente fatica. Provavo una pena immensa per questi animali (non che non ne provassi anche per topi e ratti..) e cercavo di delegare il più possibile. Ho subito molto questi esperimenti dal punto di vista emotivo. Quando mi alzavoi la mattina, non avevo assolutamente voglia di andare a fare quegli esperimenti, mi agitavo…

Tu hai animali?

In questo preciso momento no, ma ho sempre avuto gatti (ho perso il mio da poco e sto ancora eleborando il lutto ahimè). Amo ed ho sempre amato tutti gli animali, in particolar modo i felini. Non dovrei dirlo, ma mi sono "tenuta" un coniglio in stabulario per anni (con la connivenza degli stabularisti). Mi ero affezionata e me lo coccolavo appena potevo.

Prima di concludere però voglio dire alcune cose. Penso che la ricerca sugli animali non sia bypassabile al momento, e dubito che lo sarà mai. Di sicuro si può fare molto, ma molto di più, per ridurre il numero degli animali ed il numero degli esperimenti che li utilizzano, ma non vi si può prescindere. La legge impone alcuni esperimenti (soprattutto tossicologici, ma anche farmacologici per fini brevettuali) che potrebbero essere ridotti moltissimo o quasi eliminati a mio avviso. Detto questo però, alla "gente comune" sfugge il fatto che un farmaco, prima di finire sul bancone della farmacia, viene studiato ed analizzato per circa 10-15 anni.

Si parte dalla ricerca di base (che è fondamentale, perchè è da quella che si parte per studiare un farmaco/un meccanismo patologico), per poi passare agli studi in vitro, a quelli sugli animali e sull'uomo (con ben 3 fasi di sperimentazione, su soggetti sani e su pazienti). Bisogna accumulare un'infinità di dati prima di poter somministrare un farmaco ad un paziente (ed aggiungo..giustamente!). Ovvio, ci può essere il caso in cui un farmaco testato sull'animale non si riveli poi efficace sull'uomo (o addirittura sia nocivo), ma nulla toglie che nel 90% e più dei casi invece lo sia.  La medicina non è una scienza esatta come la matematica, la fisica o la chimica. L'essere umano è un organismo complesso, nel quale le influenze epigenetiche (ambientali ed esperienziali) hanno un peso enorme. Tutto si "gioca" sulla statistica. Non esiste nessuna certezza matematica.

Nel caso specifico del dolore cronico, ad esempio, una delle difficoltà più grandi sta proprio nel fatto che, a parità di lesione o di patologia, il 50% dei pazienti presenta dolore e l'altro 50% no! Così come il 50% (o meno) risponde ad un farmaco, ed il restante 50% no. Ci sono delle differenze individuali enormi, che rendono veramente difficile la ricerca di un farmaco efficace per questo tipo di dolore che affligge milioni di persone.

Restringere l'utilizzo degli animali come si sta cercando di fare in parlamento in Italia è pura propaganda. Il solo risultato sarà quello di far comprare gli animali dall'estero, aumentandone lo stress e le sofferenze.  Il discorso deve essere affrontato nelle idonee sedi scientifiche, da un lato con lo stanziamento di fondi dedicati alle sperimentazioni alternative e dall'altro "contrattando" con l'EMEA e l'FDA (gli organismi europei e americani che regolano l'immissione dei farmaci sul mercato) per ridurre il numero di dati necessari.