wiredcoverMe lo ricordo bene il mio colloquio con Riccardo Luna, nel 2009, quando decise di affidarmi la rubrica del What's Inside. Ero emozionatissima: leggevo Wired America e lo trovavo di-vi-no. Ero felicissima di poter collaborare a questo secondo tentativo italiano di Wired.(continua)

 

wiredcoverMe lo ricordo bene il mio colloquio con Riccardo Luna, nel 2009, quando decise di affidarmi la rubrica del What's Inside. Ero emozionatissima: leggevo Wired America e lo trovavo di-vi-no. Ero felicissima di poter collaborare a questo secondo tentativo italiano. Quel giorno arrivai alla redazione di Piazza Castello un po’ in anticipo e attesi Luna nella stanza di un paio di redattori. Quello con cui avevo parlato al telefono, si era dimenticato che avevamo appuntamento ed era uscito ma non mi stupii più di tanto. Era già capitato in Mondandori per collaborare con Marie Claire: la redattrice mi fece aspettare quasi un’ora perché era andata a cavallo e ops, si era dimenticata di me.

 

Riccardo Luna fu sorridente, determinato e gentile. Diede un’occhiata veloce al mio curriculum, contrattammo il compenso tipo “mercato del pesce” che si usa solo con i freelance e fu fatta: potevo iniziare a scrivere il primo pezzo per What’s Inside. Senza contratto di collaborazione, freelance al 100%.

Lavorai quindi per Wired per tanti numeri.  Feci anche servizi sulla fisica: sulla Luna, sulla fisica di Micho Kaku e tanti altri. Insomma scrivere per Wired non era male, a parte quelle volte in cui mandavo mail con le proposte ai redattori  e loro non rispondevano. Ma si sa, funziona così in certe redazioni e il freelance deve acquisire la pazienza di un monaco tibetano in ginocchio sui ceci appuntiti (un gatto appeso alla schiena con le unghie non è indispensabile ma aiuta a temprarsi ancor di più). Poi un giorno accadde una cosa.

Telefonai al redattore di riferimento che riceveva le idee per la rubrica mensile e gli dissi:

"Ciao! Come stai? Ti disturbo? No… bene… Allora ti posso mandare via email le idee per i prossimi numeri?" (Sapete, occorre sempre un tocco di fantozziana deferenza con certi redattori perché se sbagli mezza parola poi non ti chiamano più)

E lui rispose: "Ah, no non ci servono più".

-"Scusa?" dissi io con il respiro che mi si bloccava in gola.

-"Eh sai Riccardo non c'è più, il nuovo direttore vuole cambiare collaboratori".

-"E quando mi avreste av-avisata?" dissi con un filo di voce.

-"E niente, ti avrei scritto fra poco".

Non seppi aggiungere altro. Quando misi giù il telefono, mi partì un vaffa. La Storia insegna che il nuovo leader fa piazza pulita del precedente. Una volta si incendiavano i villaggi, oggi i nuovi Attila, anzi Attileader, tolgono il lavoro alle persone. E' successo a me che ero un pulviscolo del meccanismo e succede oggi alla redazione che verrà dimezzata. E quando mi dicono che il digitale è il futuro prossimo, certo sono d’accordo. Ma carta stampata e parole digitali devono trovare un accordo. Il digitale è veloce, rapido, è un click nel cervello che ti accende altri click. La carta stampata è riflessiva, rilassante, più facile da leggere per i nostri occhi. Io non riesco a leggere un’inchiesta di quindici pagine “cartacee” sul computer: non mi concentro, mi stanco subito. Forse sarò vecchia. Ma al marketing che governa i giornali, frega qualcosa? Click.